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Titolo: CRIOTERAPIA - appunti delle lezioni

Crioterapia in medicina riabilitativa

Una comune accusa che si fa alla medicina fisica e riabilitativa è quella che sono ancora pochi i lavori scientifici nei quali si valuta con studi adeguatamente controllati l'efficacia terapeutica dei vari mezzi. Ciò vale anche per terapie come il caldo ed il freddo considerate tra le prime impiegate istintivamente dall’uomo. Già negli anni 50 Litch pubblicò un trattato in due volumi sulla terapia con il caldo ed il freddo che per alcuni versi può considerarsi ancora punto di riferimento. Il freddo è più praticato dai maschi rispetto alle donne, più dai giovani rispetto agli anziani, più dagli stenici sportivi rispetto ad astenici, linfatici ed ai sedentari. Geograficamente parlando più nei paesi del nord, rispetto al sud, ed in particolare nel nord est europeo, da questi poi è stata più studiata, anche se mancano lavori tra più agenti fisici a confronto. Le loro pubblicazioni hanno inoltre tre handicap, la lingua, la scarsa diffusione ed il difficile reperimento e consultazione dei testi. Nonostante la continua immissione in commercio di nuovi e sofisticati apparecchi per la crioterapia, questa, forse più di altre accomuna molti praticanti ed altrettanti detrattori, per questo mi è sembrato utile fornire una metanalisi della scarsa recente letteratura e di stimolare così la vostra curiosità scientifica.
Cenni storici. Come si è detto l'uomo ha sempre usato il freddo già Ippocrate (400 a.C.) osservava che l'applicazione di freddo riduceva il sanguinamento, diminuiva il gonfiore e riduceva il dolore provocando intorpidimento. I romani conoscevano e impiegavano il freddo per molti scopi, non ultimo terapeutico, uno per tutti i bagni gelidi (frigidarium) erano presenti in ogni stazione termale ed erano impiegati sotto forma di bagni di contrasto con il calidarium con funzioni di stimolare e tonificare chi usciva da un bagno troppo caldo. Nella medicina romana Galeno, nel 130 dopo Cristo, riconosceva al freddo effetti stimolanti e di prevenzione dell’infiammazione. In epoca moderna si deve a Larrey, chirurgo militare nella napoleonica campagna di Russia (1813), l'impiego probabilmente empirico della neve per anestesia, emostasi ed antisepsi. Richardson nel 1667 fu il primo ad usare il cloruro d'etile per refrigerare la cute a scopi anestetici.
Definizioni. Numerosi termini definiscono l’esposizione con finalità terapeutiche di tutto il corpo o di una sua parte a temperature inferiori ai trentasette gradi centigradi, tra questi parliamo tra 0 e +36°, di ipotermoterapia, in antitesi alla ipertermoterapia (superiori ai 37°C.), e di crioterapia anche se spesso identificata con metodiche chirurgiche (dal greco kryos, freddo), tra -180 e 0°C. suddividendola poi ulteriormente in crioterapia estrema tra -180 e -20°C. e blanda tra -20 e 0°C.
Effetti fisiopatologici al freddo. La prima reazione alla perdita di calore, negli strati più superficiali del corpo, è la piloerezione, seguita dalla vasocostrizione periferica (Clarke) è mediata da riflessi assonici autonomi (Licht) ed ipotalamici (Olson). Il raffreddamento di un’area corporea circoscritta, comporta i seguenti effetti: vasocostrizione, analgesia, riduzione dell’edema e della contrattura muscolare, che si traducono in: 1) diminuito flusso sanguigno capillare 2) migliorato drenaggio linfatico 3) ridotto metabolismo locale 4) ridotta liberazione di enzimi ed istamina 5)diminuita velocità di conduzione nervosa 6) ridotta contrattura muscolare 7) modificata attività simpatica (temperatura-dipendente) 9) ridotta distensibilità del collagene.
Effetti sulla circolazione. La reazione iniziale al raffreddamento cutaneo si concretizza in una persistente costrizione dei vasi sanguigni locali e in una immediata vasocostrizione dinamica, per attivazione di archi simpatici riflessi, in seguito si verificherebbe una vasocostrizione ritardata come risultato dell’attivazione del ganglio posteriore, quando il sangue venoso refluo proveniente dalla zona cutanea raffreddata ha favorito la circolazione generale. Secondo Yamauchi, l’attivazione del centro di termoregolazione del talamo posteriore, sarebbe responsabile di un'ulteriore, tardiva vasocostrizione sistemica, di una vasodilatazione e di un incremento sanguigno nell’area raffreddata, maggiore di quello ottenibile con l’applicazione di caldo. La costrizione aumenta gradualmente in rapporto alla riduzione della temperatura sino a raggiungere temperature cutanee intorno ai 15°C. Un’ulteriore diminuzione della temperatura provoca una vasodilatazione, che si ipotizza conseguente ad una paralisi delle miocellule della parete del vaso, oppure al blocco della conduzione nervosa lungo le fibre vasocostrittrici la vasodilatazione secondaria avrebbe una funzione adiuvante in quanto mantiene pervio il letto arteriolare e consente il flusso sanguigno ai tessuti. Tabex tuttavia, dopo applicazione di impacchi freddi per 20 minuti alla caviglia, su 13 volontari sani, ha riscontrato una riduzione significativa del volume ematico locale, ma non ha riscontrato vasodilatazione reattiva. Thorsson utilizzando la clearance dello Xenon 133, ha osservato una riduzione della vascolarizzazione muscolare del 49% dopo l'applicazione per 10 minuti di impacchi ghiacciati al quadricipite in atleti fondisti. In accordo con tali dati anche Beste ed Essiger, utilizzando il Doppler arterioso, hanno riscontrato la maggior riduzione di flusso dopo 10 minuti di applicazione di impacchi ghiacciati al ginocchio in 19 volontari sani. L'età è un importante fattore che influenza la risposta vasocostrittiva al raffreddamento: Richardson infatti, valutando il flusso ematico con metodica laser-Doppler, riscontrò effetti vasocostrittivi significativamente inferiori nell’anziano (età media 71 anni) rispetto ai giovani (età media 25 anni). L’abbassamento di temperatura provoca un incremento nella viscosità del sangue, che contribuisce a ridurre il flusso sanguigno nel distretto raffreddato. La vasocostrizione inizialmente determinata dalla crioterapia, unitamente alla riduzione della permeabilità vasale, è considerata uno dei meccanismi più importanti per ridurre dopo un trauma, tumefazione e sanguinamento, così come la formazione dell’edema nelle reazioni infiammatorie. Knight afferma che il freddo diminuisce la permeabilità vasale riducendo i fluidi extra cellulari, l’edema e il sanguinamento postraumatico. Lo spasmo vasale superficiale, che osserviamo quando la cute è esposta a temperature intorno a 0°C. persiste anche in presenza di modeste oscillazioni termiche. Guyton, studioso della fisiopatologia del congelamento umano, dimostrò che quando la temperatura cutanea scende al di sotto dei 15°C. si verifica una vasodilatazione paradossa, attribuibile a paresi della muscolatura liscia vasale o a blocco degli impulsi nervosi. Ciò avviene solo in condizioni di freddo polare e rappresenta una estrema difesa contro il congelamento. Ricordo che in seguito a protratte perfrigerazioni intorno a 0° (+3/-3), mediamente la temperatura cutanea decresce solo di circa 10° raggiungendo i +20/25°. L'immersione in acqua ghiacciata causa una serie di vasodilatazioni e costrizioni con modeste fluttuazioni termiche cutanee (Lewis). Le esperienze di Meani hanno dimostrato che la vasocostrizione riflessa immediata dura 9/16 minuti ed è seguita da vasodilatazione per 4/6 minuti prima che, persistendo lo stimolo, ricompaia la successiva vasocostrizione. Da ciò deriva che lo stimolo freddo va protratto per almeno 20 minuti. Sempre Guyton ha dimostrato che un calo della temperatura di 10° dimezza la velocità delle reazioni chimiche corporee e quindi riduce le necessità metaboliche, proteggendo i tessuti dall’ipossia postraumatica e dai conseguenti danni. La regolazione del calibro dei vasi sanguigni cutanei è principalmente nervosa. Esiste una estesa distribuzione sulla cute delle fibre simpatiche adrenergiche vasocostrittrici e nelle regioni distali (mani, piedi ed orecchie), in condizioni di riposo e dinamiche, questa innervazione è tonico sensitiva. Non vi è prova convincente che la muscolatura liscia dei vasi cutanei riceva dal sistema nervoso centrale uno stimolo diretto vasodilatativo. Questa sembra dovuta ad una diminuzione del tono adrenergico mediatore ed alla attivazione di fibre sudoripare che determinano liberazione di bradichinina, notoriamente dotata di effetti vasocostrittivi. I risultati di lavori sperimentali che valutano le modificazioni della vascolarizzazione in seguito ad un solo stimolo non sono quindi uniformi.
Effetti sulla temperatura intrarticolare. In seguito a raffreddamento superficiale si determina una significativa e prolungata riduzione della temperatura intrarticolare. Solo Horvath ed Hollander hanno segnalato che in seguito a raffreddamento superficiale, la temperatura delle strutture ossee del ginocchio può aumentare, mentre diminuisce dopo applicazione esterna di calore. Cobbold e Lewis applicando del freddo al ginocchio del cane, hanno osservato che provoca vasocostrizione e diminuzione della temperatura intrarticolare. Anche Wakim, applicando per un’ora impacchi freddi (6-12°C) al ginocchio ed alla gamba del cane, ha ottenuto una marcata diminuzione della temperatura intrarticolare (18,4°C). Più recentemente Bocobo ha evidenziato una significativa riduzione della temperatura intrarticolare nel ginocchio del cane sia applicando impacchi freddi che mediante immersione in acqua fredda. Con questa seconda metodica, dopo 15 minuti, ha ottenuto una riduzione della temperatura intrarticolare (20-28,4°C) più evidente rispetto all’applicazione di impacchi freddi. Con entrambe le metodiche la temperatura intraarticolare continua a diminuire per diversi minuti dopo aver rimosso lo stimolo freddo e sono necessari da 60 a 150 minuti per ritornare alla temperatura basale. Oesterveld ha valutato le modificazioni della temperatura intrarticolare del ginocchio, in 42 volontari sani utilizzando due diverse metodiche crioterapiche: l’applicazione di impacchi freddi (0°C.) per 30 minuti ed il trattamento con vapori di azoto liquido per 6,5 minuti. Non ha osservato significative riduzioni della temperatura cutanea, con i due metodi mentre la temperatura intrarticolare è molto diminuita dopo l’applicazione di impacchi freddi rispetto al trattamento con azoto liquido.
Diminuzione della ipossia tissutale. Abramson ha notato che la saturazione di ossigeno nel sangue venoso, proveniente da un avambraccio raffreddato a 32°C era del 50%, contro il 70% del sangue di ritorno dall’avambraccio controlaterale. Ciò significa che il raffreddamento riduce il metabolismo tissutale, quindi il consumo di ossigeno; se nell’uomo la temperatura media viene abbassata di circa 10°C. la velocità delle reazioni metaboliche si riduce del 50%. In seguito a trauma, le lesioni tessutali e l’emorragia riducono l’apporto di ossigeno, tanto da non soddisfare più le necessità metaboliche dei tessuti sani, sviluppandosi così spesso una ipossia secondaria che amplia l’area di lesione. La crioterapia, riducendo le richieste di ossigeno, previene l’estendersi del danno ai tessuti circostanti.
Effetti analgesici. Bugay afferma che l’analgesia è il primo effetto della somministrazione di freddo e interviene dopo circa 2 minuti e progressivamente si attenua dopo 3/5 minuti dalla cessazione dello stimolo freddo. Secondo Clarke la crioanalgesia è secondaria alla diminuita velocità di conduzione nervosa ed al rallentamento dei processi metabolici, abbassando la temperatura del nervo sotto i 20° diminuisce inoltre significativamente la produzione di acetilcolina. Wagner afferma che il raffreddamento degli algorecettori induce un’iperstimolazione sulle fibre afferenti sensoriali (A/delta) che attivano così i centri inibitori provocando riduzione della sensibilità ed elevazione della soglia del dolore, il meccanismo d’azione è simile a quello studiato da Melzak e Wall. Secondo Haines l'analgesia si ottiene indirettamente anche con la riduzione dello spasmo muscolare e dell’edema che interrompe così il circolo vizioso spasmo persistenza del dolore. Il raffreddamento induce analgesia locale con meccanismi diretti ed indiretti, la causa principale della riduzione delle afferenze nocicettive è dovuta al decremento della velocità di conduzione nervosa. Stillwell per una diminuzione della temperatura di 1°C. riferisce una riduzione della velocità di conduzione nei nervi periferici di 2,4 metri il secondo. Le fibre mielinizzate di gruppo A sono più sensibili alle riduzioni di temperatura rispetto a quelle di gruppo B e C. Lee ha riscontrato una diminuzione della velocità di conduzione del nervo ulnare dell’11,6% dopo raffreddamento del muscolo flessore ulnare del carpo; la velocità di conduzione diminuiva ulteriormente se il freddo veniva applicato al gomito dove il nervo decorre più in superficie. La conduzione nervosa viene completamente abolita se si raggiungono temperature del nervo intorno a 10-15°C. Mc Meeken, raffreddando con impacchi ghiacciati, l’avambraccio in soggetti sani, ha evidenziato, quando si raggiunge una temperatura cutanea di 12,5°C una riduzione del 10% della velocità di conduzione, sul nervo ulnare. In via indiretta la crioterapia può indurre analgesia, riducendo la liberazione di enzimi in grado di stimolare i nocicettori, riducendo l’edema e la compressione di strutture nervose, diminuendo l’ipossia locale e lo spasmo muscolare. Sempre Bugay ha riscontrato che l’analgesia inizia approssimativamente quando la temperatura cutanea localizzata è intorno ai 13,6°C., questa si manifesta 1 minuto e 45 secondi dopo l’applicazione di freddo e termina 2 min. e 57 sec. dopo la sua rimozione.
Effetti sulla contrazione muscolare. La perfrigerazione è in grado di modificare le caratteristiche della contrazione muscolare e la forza massima sviluppata. Le caratteristiche della scossa muscolare (twitch), indotta da un singolo stimolo elettrico sul nervo motore, sono modificate dall’abbassamento della temperatura; in particolare si osserva un allungamento del tempo di contrazione e rilasciamento. Più rilevante, per le sue implicazioni cliniche è il fatto che la frequenza di stimolo richiesta per ottenere la fusione delle contrazioni del muscolo fino al tetano completo, diminuisce se la temperatura viene abbassata. E' stato infatti dimostrato che il raffreddamento del muscolo provoca, nell’animale curarizzato, un incremento di tensione a più basse frequenze di stimolo. Ciò significa che l’ipotermia produce gli effetti osservati influendo direttamente sul meccanismo della contrazione muscolare. In altri termini il raffreddamento trasforma tutte le fibre in lente: da qui, per una data frequenza di scarica submassimale, si ottiene una tensione muscolare più vicina a quella tetanica. Clendenin e Szumski hanno dimostrato che il raffreddamento cutaneo facilita la contrazione di una singola unità motoria. In gatti decerebrati, durante il raffreddamento cutaneo, si è osservata una diminuzione dell’attività elettromiografica spontanea registrata sul gastrocnemio, per aumentare considerevolmente da 1 a 10 secondi dopo la fine del raffreddamento prima di ritornare a livelli base. Johnson e Leider raffreddando l’avambraccio in acqua a 10-15°C per 30 minuti, hanno osservato che subito dopo il trattamento, la forza di presa della mano diminuiva rispetto i valori iniziali, ritornando a questi solo 20 minuti dopo, per aumentare 80-180 minuti dopo il raffreddamento. Una diminuzione della forza muscolare dopo il trattamento e un suo successivo persistente incremento sono stati confermati in altri studi.
Effetti su spasticità e contrattura. L’azione antispastica del freddo sulla muscolatura sì evidenzia con riduzione della frequenza di scarica del potenziale d'azione muscolare e con diminuzione per intensità e velocità dei riflessi osteotendinei (Moore). Come risposta al dolore locale, che si accompagna ad alcuni processi morbosi, si verifica uno spasmo muscolare riflesso volto ad immobilizzare e a proteggere l’area lesa. Il vasospasmo muscolare è una prolungata contrattura involontaria che richiede l’uso di una grossa quota di sostanze nutritizie e che provoca ischemia sia per la maggiore richiesta di ossigeno che per la compressione dei vasi sanguigni intramuscolari. Si crea così un circolo vizioso in cui le afferenze dolorose inducono la contrattura muscolare riflessa e quest’ultima, determinando ipossia e danno tissutale, sostiene l’iperalgesia e lo spasmo. Controverse sono le modalità con le quali la crioterapia innesca miorilassamento. Come nel caso in cui la contrattura muscolare assuma le caratteristiche di una reazione riflessa di difesa, essendo sostenuta dalle afferenze dolorifiche da un’area lesa, si può ragionevolmente pensare che l’interruzione delle afferenze nocicettive determinata dal raffreddamento sia la causa principale della risoluzione dello spasmo. Alcuni studi clinici hanno evidenziato l’efficacia del raffreddamento anche nel ridurre temporaneamente l’ipertono muscolare nei pazienti spastici. Diversi Autori hanno dimostrato che il raffreddamento locale del fuso neuro muscolare diminuisce la frequenza di scarica delle fibre sensoriali di tale recettore e specialmente dalle terminazioni afferenti. Bisogna ricordare inoltre che in seguito a raffreddamento superficiale, dopo una prima fugace fase di incremento della contrattura muscolare, si osserva dopo pochi minuti una diminuzione della spasticità. Poiché il raffreddamento del muscolo si manifesta solo dopo 20-30 minuti di applicazione del freddo ai tessuti superficiali, è dubbio che la diminuzione della spasticità sia da attribuire, in vivo, ad un effetto diretto sul fuso neuromuscolare. Barker ha evidenziato fibre simpatiche che innervano il fuso e terminano nella regione delle fibre sensitive intrafusali. La stimolazione simpatica provoca una diminuzione della frequenza di scarica delle fibre fusali afferenti. In base a queste evidenze, Miglietta ha presunto un'influenza simpatica riflessa sul fuso, come causa della ridotta spasticità. L’attivazione delle fibre efferenti simpatiche che innervano il muscolo scheletrico si verificherebbe, tuttavia, entro ristretti range di temperatura. In un recente lavoro Kregel ha evidenziato come l’attivazione di tali fibre si verifica dopo immersione in acqua a temperature comprese tra 0 e 7°C; per temperature comprese tra 7 e 21°C. al contrario, si osserva una iniziale riduzione dell’attività delle fibre simpatiche efferenti, della durata di 15-30 secondi, seguita da un ritorno all’attività di base, che si mantiene tale anche per lunghi periodi di raffreddamento. In altri termini la crioterapia determinerebbe un’attivazione delle fibre efferenti simpatiche destinate ad innervare il muscolo scheletrico solo se di intensità tale da provocare una stimolazione percepita come dolorosa (attivazione di fibre afferenti di tipo C ad alta soglia). Il meccanismo esatto con cui il sistema simpatico agisce sul fuso neuromuscolare non è comunque noto.
Effetti in modelli sperimentali di flogosi. Sono ancora relativamente pochi gli studi sperimentali circa l’influenza di diverse forme di energia fisica sui processi infiammatori creati su modelli sperimentali come quelli da: I) edema da destrano 2) edema da formolo 3) edema da caolino 4) edema da carragenina 5) artrite da adiuvante di Froiman (reazione primaria) 6) artrite da adiuvante (reazione secondaria). I risultati non sono univoci: il calore ha effetti antinfiammatori sull’edema da carragenina, mentre in un modello sperimentale in cui la reazione infiammatoria sia indotta dal formolo, la flogosi peggiora notevolmente; così il calore rende più evidente la reazione flogistica primaria nell’artrite da adiuvante nel ratto ma inibisce, in modo significativo al 21° giorno, la reazione secondaria. Horwart ha dimostrato che il raffreddamento locale riduce, mentre il calore accentua, la sinovite acuta indotta da una singola infiltrazione intra articolare di cristalli di acido urico nel ginocchio del cane; in questo modello sperimentale vengono ridotti dalla crioterapia ed aumentati dalla termoterapia, il volume del liquido sinoviale, il numero di leucociti, l’infiltrato di polimorfonucleati nella membrana sinoviale e la clearance dello Xenon 133. Lo stesso Autore però nella sinovite cronica indotta da ripetute infiltrazioni di cristalli di acido urico, non ha riscontrato modificazioni significative né dalla crioterapia né dalla termoterapia. Sia l’applicazione di calore che il raffreddamento influiscono a livello di cellule che possono modulare il processo infiammatorio: il riscaldamento della cute riduce, nella cavia, il numero di cellule di Langerhans e ne stimola la trasformazione blastica, mentre nell’uomo, sulla linfa proveniente dalla zona riscaldata, si riscontrano livelli elevati di interleuchina1. Pertanto l'applicazione di caldo e freddo influenza la flogosi, ma con effetti anche di segno opposto in relazione ai differenti modelli sperimentali: il processo infiammatorio acuto, essudativo, viene ridotto dalla crioterapia mentre l’applicazione di calore può in alcuni casi migliorare la flogosi cronica, proliferativa.
Altri effetti. Il raffreddamento diminuisce la distensibilità del collagene, ciò può rivelarsi utile nel decorso postoperatorio e dopo traumi distorsivi con stiramenti legamentosi. Waylonis dopo criomassaggio per la durata di 5 minuti sulla schiena, non ha riscontrato modificazioni nella pressione arteriosa e nella frequenza del polso. Lorenz ha applicato asciugamani bagnati con acqua fredda per 10’sulla spalla sinistra in 25 pazienti emiplegici. Solo in uno di questi, già affetto da coronaropatia, si sono riscontrate modificazioni elettrocardiografiche. Murphy puntualizza che gli effetti del freddo sulle funzioni cardiache dipendono dalla durata e dalla intensità dello stimolo termico. Harris e Mc Croskeiy affermano che i fattori enzimatici (collagenasi, elastasi, ecc.) responsabili del danno anatomico alle articolazioni affette da sinovite reumatoide hanno una maggiore attività a temperature elevate. Il raffreddamento inibirebbe l’attività enzimatica riducendo l’evoluzione del danno alle strutture articolari. Altri A. hanno di converso suggerito che la termoterapia profonda, al contrario della crioterapia, accelera i processi distruttivi dell’articolazione colpita dal processo reumatoide, In medicina sportiva il raffreddare il collo con collari freschi si è dimostrato utile nel ridurre, durante l’esercizio fisico intenso, lo stress termico, la sudorazione e la temperatura corporea interna. La crioterapia in camera fredda è in grado di indurre modificazioni su alcuni parametri della circolazione sanguigna e del metabolismo in pazienti affetti da poliartrite cronica e da spondilite anchilosante ed in controlli sani. In un lavoro di Taghawinejad la durata del trattamento è stata in media di 105 minuti (range 180) ad una temperatura di -110°C. Dai dati emersi risulta evidente come la crioterapia in camera fredda, anche con trattamenti di durata limitata, determina una stimolazione umorale dell’organismo che coinvolge molte ghiandole endocrine ed il sistema nervoso autonomo. Le conseguenti modificazioni metaboliche, sembrano essere più marcate, nei soggetti affetti da patologie infiammatorie croniche che nei sani, probabilmente per una loro minore capacità di adattamento.
Mezzi d’applicazione del freddo.
Il freddo viene somministrato, utilizzando mezzi naturali come neve, ghiaccio tritato e acqua ghiacciata, oppure impiegando agenti chimici o fisici artificialmente prodotti. Tra questi ultimi ricordo l’alcol, largamente usato in passato e privo di reazioni negative, ma dagli scarsi effetti terapeutici; al contrario il clorofluorometano e il cloruro di etile sono più efficaci, ma potenzialmente tossici ed inquinanti.
Borsa di ghiaccio.
L’uso di borse di gomma o plastica variabili per foggia e dimensioni e riempite più o meno di cubetti di ghiaccio è la più comune modalità di trattamento dei traumi, perché disponibile in ogni casa, perché semplice ed efficace. Usata per vincere un colpo di calore o per il mal di testa, o per rinfrescare la fronte di un febbricitante.
Cubetti di ghiaccio.
Sono di varia foggia e dimensioni, proponibili in una busta di cellophane per evitare di bagnare il paziente o sotto forma di impacchi. Indicazioni paradigmatiche si hanno nei traumi o nelle patologie flogistiche di mani, piedi, caviglie, polsi, gomiti e ginocchia. Quando si esegue un massaggio, in genere con movimenti centripeti o circolari, si ottiene una rapida riduzione dell'edema, una maggiore e più prolungata attenuazione del dolore ed un più rapido ripristino del range di movimento.
Barrette di ghiaccio.
Per produrle si versa dell’acqua in tubi di plastica lunghi circa 10 cm e con il diametro di 2 cm. chiuse le estremità con mastice, il tubo viene posto nel freezer per almeno 1 ora. La bacchetta di ghiaccio si presta bene per trattamenti in sedi di difficile accesso quali gli spazi interdigitali delle articolazioni metacarpo e metatarsofalangee delle dita di mani e piedi, vengono utilizzate dagli sportivi e da fisioterapisti che trattano prevalentemente patologie di mani o piedi.
Blocchetti di ghiaccio.
Per realizzarli si ricorre a strumenti per produrre dei ghiaccioli con contenitori di varia foggia o buste di plastica già conformate, in cui viene immersa una bacchetta centrale, il bastoncino facilita l'impugnatura del blocco di ghiaccio durante il massaggio, riempiti poi gli involucri con acqua già fresca vengono posti a gelare nel freezer per almeno un ora. Sono impiegati, specie dagli sportivi, in recenti esiti di traumi e distorsioni che coinvolgono medie e grandi superfici corporee, come ematomi di coscia, ginocchio, contusioni del rachide e del bacino.
Panni ghiacciati.
Panni conformati vengono immersi in un secchio con 5 litri d’acqua e ghiaccio in cui viene aggiunto circa mezzo chilo di sale da cucina; la soluzione salina serve ad impedire l’irrigidirsi del panno ghiacciato che altrimenti non si adatterebbe fedelmente alla zona da trattare. Questa modalità di applicazione è particolarmente indicata per grandi articolazioni o superfici dato che il panno ben si modella sulla zona colpita, offrendo un omogeneo raffreddamento di tutta la circonferenza da trattare. Le applicazioni variano molto per tempo ed intensità: nel trattamento di numerose patologie, intervalli di circa un'ora tra una somministrazione e l’altra sono considerati sufficienti ed appropriati.
Crio Wraps.
Attualmente in commercio si ritrovano manicotti conformati con la forma del piede, della mano, del ginocchio o della spalla, muniti di tasche nelle quali si possono introdurre dei contenitori di gelatina, intercambiabili quando si riscaldano oppure ci si possono introdurre contenitori di acqua e ghiaccio collegati con un termos che consente di rifornire di acqua fresca il manicotto. In genere tra cute e sostanza raffreddante si interpone un panno umido con il duplice scopo di proteggere la cute e di facilitare la diffusione del freddo. Avvolgendo l’impacco con una benda elastica si aggiunge la compressione, alla terapia del freddo.
Thermos criogeni.
Attualmente sono disponibili in commercio sacche di varia foggia, riproducenti un calzino, un guanto, un manicotto e collegati con 2 tubi a congelatori o termos. Questi in genere lunghi sono muniti di valvola di chiusura ed apertura e servono per cambiare l'acqua nella sacca una volta che sia riscaldata con nuova acqua e ghiaccio. Il più recente Polar care è munito di sonda termica cutanea (diodo rame costantana) per monitorizzare l'abbassamento della temperatura cutanea durante lunghe applicazioni. La stabilità della temperatura è assicurata da un termostato che consente erogazioni di freddo intorno a +5°C e di una pompa ad immersione che la mantiene stabile. Tale mezzo viene comunemente impiegato nel postoperatorio dopo artroscopie di spalla o ginocchio, dopo ricostruzioni legamentose o dopo interventi di protesi di ginocchio o di anca. In questi casi sono indicati trattamenti anche di intere giornate e queste macchine, consentono un risparmio di personale addetto. Il freddo viene erogato mediante pezze di varia foggia contenute in manicotti conformati alla superficie da trattare, come per la caviglia, per il ginocchio o per la spalla. Tali pezze sono di dimensioni ridotte rispetto alla superficie da trattare per cui per facilitare la penetrazione del freddo e permetterne una più uniforme distribuzione sull’area lesa, si applica un panno umido, spesso in combinazione con un bendaggio elastico, se vogliamo ottenere una uniforme compressione. La durata dell'applicazione con questi nuovi semplici macchinari è praticamente illimitata, nella pratica clinica varia a secondo della patologia in trattamento e dell'esperienza dei singoli medici, ma in genere se applicata dopo artroscopia va mantenuta per almeno 6-10 ore, mentre per la maggior parte delle patologie si consigliano applicazioni ed intervalli di 20-60 minuti. Lunghi intervalli tra applicazioni successive fanno ritornare i tessuti alla temperatura pretrattamento.
Impacchi freddi (cold pack).
Si usano principalmente due tipi di impacco, uno monouso che si presenta sotto forma di sacca, divisa in due scompartimenti separati tra loro da un diaframma, una è piena d’acqua e l'altra di nitrato di ammonio. Questo involucro, quando viene schiacciato con una percussione, produce la rottura del sottile diaframma, la conseguente miscelazione dei componenti induce una intensa e protratta reazione perfrigerante. I principali vantaggi di questi set commerciali sono: praticità di impiego nel primo soccorso anche in luoghi disagiati, rapido raffreddamento e la lunga conservazione anche a temperature elevate. I limiti sono il costo, il monouso, la breve durata, il potenziale rischio nel caso di rottura della sacca. Il secondo tipo di impacco, oggi più usato, è invece riutilizzabile, è costituito da sacchetti in plastica variamente conformati, e riempiti di gelatina già fresca, e che se viene posta nel freezer si raffredda in circa 60 minuti e si mantiene fredda per almeno 20 min. L’impacco può essere più volte riscaldato o raffreddato. Tutti gli impacchi si modellano facilmente su una superficie corporea e possono essere a bisogno fissati con un bendaggio elastico. Tra cute e impacco spesso si interpone un panno di lino o cotone umido, con il duplice scopo di proteggere la cute e di facilitare la diffusione del freddo. Nella pratica clinica le applicazioni variano molto per tempo ed intensità, intervalli di circa 30 minuti tra più applicazioni si sono rivelate utili nel trattamento di numerose patologie, così come bendaggi elastici non troppo stretti.
Bagni ghiacciati.
L'immergere tutto il corpo o parti estese di arti, in contenitori pieni di acqua e ghiaccio viene indicata come bagno ghiacciato totale o parziale. Bagni completi sono meno comuni, necessitano di grandi impianti per il raffreddamento dell'acqua, e l'applicazione dura pochi minuti, ma per aumentarne gli effetti può essere ripetuta più volte. L'immersione in acqua fredda, sia parziale che generale innesca una sgradevole sensazione di freddo umido, spesso accompagnata con brivido, che però tende ad attenuarsi nel corso delle successive esperienze. Viene attualmente consigliata nel trattamento di traumi acuti, microtraumi ripetuti o flogosi delle estremità, in articolazioni delle mani e dei piedi spesso riscontrate dopo attività sportive o lavorative usuranti. Pianisti o violinisti, nella preparazione ad un seduta di prove o ad un concerto, spesso immergono le dita delle mani in acqua e ghiaccio, e vi eseguono, con movimenti rapidi e precisi esercizi attivi di presa e destrezza. Ciò rende le loro mani più leggere e sgonfie, attenua loro la sensibilità dolorifica e stimola la circolazione e la destrezza articolare e gestuale. Tale seduta può essere ripetuta anche dopo la performance. Johnson riferisce che l'immersione di un arto o di una sua parte in acqua e ghiaccio, se prolungata per più di 30 minuti può far decrescere di 12°C. la temperatura della muscolatura profonda, che prima di poter risalire completamente può impiegare circa quattro ore. L’ampia variabilità individuale agli stress termici è da ascrivere alla maggiore o minore quantità di tessuto adiposo nel soggetto in esame e ad una sua più o meno efficace vascolarizzazione periferica. L'immersione provoca al paziente, specie alle prime applicazioni, sgradevoli sensazioni di freddo di breve durata e perciò ben tollerate e che tendono ad attenuarsi, con le applicazioni successive per adattamenti locali. Tra i vantaggi del metodo, ricordo la possibilità di effettuare movimenti nell’acqua, facilitati dall’analgesia da freddo. Tra i limiti le soggettive difficoltà di adattamento al freddo umido e la posizione declive assunta dalle estremità in trattamento.
Spray refrigeranti.
Mezzi refrigeranti sotto forma di spray, sono essenzialmente due il cloruro d'etile e l’azoto liquido, consiglio di impiegare preparazioni più semplici poiché miscele più ricche di componenti accrescono il rischio di allergie ed ustioni. Molto usati sui campi sportivi, con le modalità praticate, assumono più un ruolo di pulizia, antisepsi, lieve analgesia, e non privi di possibili rischi, ma da considerarsi terapeuticamente alla stregua di un placebo. Spray a base di cloruro di etile, in quanto infiammabile, vanno conservati ed usati con cautela, vanno spruzzati sulla cute dell’area lesa alla distanza di 20-30 cm, con inclinazione del getto di circa 30-60°, per un tempo di esposizione di 3-6 secondi per punto. L’effetto dura poco ma l’applicazione può essere ripetuta di frequente e con brevi intervalli di tempo. Dopo aver spruzzato lo spray refrigerante, la superficie può essere manipolata con manovre di allungamento cutaneo (stretcing) o può essere fasciata. Molti per ridurre il rischio di ustioni, spruzzano lo spray sulla cute interponendo un panno e per impedire accidentali spruzzi su organi delicati come occhi, orecchie o testicoli li ricoprono adeguatamente. L'azoto liquido invece passando dallo stato solido a quello gassoso determina la formazione di gas con temperature variabili tra -10 e -100°. La tecnica viene impiegata, per raffreddare rapidamente una zona; ogni trattamento dura tra 1 e 6 minuti. Per evitare danni ai tessuti da vasocostrizione parossistica è necessario monitorare con un sensore termico (termocoppia rame costantana) la temperatura cutanea per non farla scendere al di sotto dei 15°. Entrambe le modalità trovano impiego in caso di traumi chiusi contusivi agli arti ed al cingolo scapolomerale, nel primo soccorso stradale e sui campi da sci o di gioco o in attività sportive. Tutori conformati per gli arti vengono attualmente impiegati nel contenimento di traumi, in questi possono essere insufflati gas freddi (freon), gli effetti ricercati sono di immobilizzare eventuali fratture, comprimere la zona traumatizzata riducendo il sanguinamento di emorragie interne ed esterne.
Camera fredda.
Di recente sono state proposte camere climatiche, per l’esposizione dell’intero corpo in una camera chiusa e con ventilazione forzata. Il raffreddamento dell’intera superficie corporea, avviene molto gradualmente, l’aria ambiente viene deumidificata e portata a 2 atmosfere per essere raffreddata con vapori d'azoto liquido, in un ora fino alla temperatura estrema di circa -160° e poi nello stesso tempo viene riscaldata sino a raggiungere la temperatura esterna. Questa terapia sistemica, studiata negli anni 80 in Giappone e in Germania, trova ancora pochi cultori per le scarse indicazioni, per la complessità nella sua pratica attuazione e per il costo dei macchinari, per l’istintiva diffidenza di gran parte della popolazione verso il freddo estremo, si osservano infatti notevoli abbassamenti della temperatura di quasi tutto il corpo (Yamamuchi). Le indicazioni sono gravi connettiviti incontrollabili con terapie farmacologiche o che non tollerano altre terapie, La selezione dei candidati necessita di un'accurata valutazione e di monitorizzare il cuore, il respiro e la temperatura cutanea durante tutto il trattamento. La terapia viene completata con intensi programmi di esercizi, attivi e passivi, per più ore, per sfruttare gli effetti analgesici e stimolanti indotti dal trattamento. Il paziente prima del trattamento viene condizionato con una mascherina per evitare che l'ingestione di aria troppo fredda, possa irritare le prime vie aeree. Mani e piedi vengono tutelati dal congelamento, con appositi calzari e guanti di protezione. Durante le due ore di trattamento vanno monitorizzati i parametri cardiocircolatori e respiratori. Birwe riporta risultati positivi in seguito a crioterapia in camera fredda a -110° C in pazienti affetti da poliartrite cronica e da spondilite anchilosante. Rispetto ad un gruppo di controllo trattato solo con cinesiterapia 75 pazienti trattati con crioterapia hanno avuto miglioramenti statisticamente significativi nella funzionalità articolare, nell'analgesia fino a 3 ore dopo il trattamento. Lo stesso Aurtore riferisce che su un totale di 491 pazienti trattati in camera fredda si è ottenuta una riduzione del dolore soggettivo nel 74% dei casi ed una sensazione soggettiva di miglioramento della funzione articolare nell’87% dei casi. L’empirismo con il quale sono stati valutati gli effetti ottenuti, la mancata precisazione dei metodi di valutazione utilizzati oltre che dei tempi e della frequenza delle sedute in camera fredda rendono tuttavia tali risultati poco attendibili, In quasi tutti gli studi analizzati con la crioterapia si ottiene una riduzione del dolore ma non vengono modificate in modo significativo rigidità, tumefazione ed articolarità.
Massaggi con agenti freddi.
Molto efficaci ed indicati in quanto uniscono i vantaggi del massaggio a quelli del freddo, rappresentano per frequenza d’impiego il secondo metodo della crioterapia e spesso vanno praticati dopo la fase acuta del trauma, sebbene taluno li consigli con sicurezza anche nelle fasi immediatamente successive. Classicamente viene effettuato con ghiaccioli rivestiti di plastica o getti d'aria e acqua fredda, viene spesso impiegato in maniera empirica nell’immediato postrauma quando prevalgono dolore e contrattura sul rischio di emorragia e edema o si tenti un immediato reimpiego di un atleta. La sensazione iniziale all'applicazione crioterapica è dì freddo intenso seguito da transitorio dolore; a questi subentrano in genere torpore e lieve anestesia. Queste quattro fasi si succedono con maggior celerità nel massaggio rispetto al trattamento con l’impacco e Lowdon e Moore hanno dimostrato che questa tecnica, a livello muscolare provoca maggiori riduzioni termiche locali. L'iniziale sgradevole sensazione dolorosa può rendere il trattamento di difficile prosecuzione bisogna quindi sempre spiegare al paziente che, dopo questa prima temporanea sensazione negativa, seguirà un senso di torpore e/o di leggera anestesia. Queste quattro fasi della crioterapia, descritte da Hocutt si succedono molto più rapidamente con il massaggio freddo che con gli impacchi ghiacciati. Si massaggia o si strofina leggermente l’area di lesione con movimenti circolari o longitudinali, utilizzando una bustina di plastica con un ghiacciolo all’interno, un panno o una carta assorbente immersa in acqua fredda. Queste tecniche sono ancor più indicate in caso si debbano trattare superfici estese, come la muscolatura del tronco, il quadricipite, il gastrocnemio, ma può essere utilizzata anche su articolazioni, come il ginocchio. La durata del trattamento varia tra 10-20 minuti ma può essere prolungata per molte ore.
Stretch and spray.
La tecnica è stata messa a punto dalla Travel negli anni 70 dalla Travel e sempre da essa propagandata negli Stati Uniti tra medici sportivi e reumatologi, oggi viene impiegata nel trattamento di algie secondarie a prestazioni sportive o in pazienti affetti da dolori e flogosi periarticolari o da sindromi fibromialgiche localizzate o diffuse, in queste ultime con minori risultati. La tecnica si articola in tre fasi successive, nella prima, forse la più importante, si ricercano, si marcano e numerano con accuratezza i punti di partenza del dolore (trigger, tender point o tender zone). Nella seconda si trattano in ordine gerarchico i punti con getti di spray alla distanza di 30-40 cm. dalla superficie cutanea, con un raggio di incidenza variabile tra 50 e 70° e con perfrigerazioni della durata di pochi secondi. Nella terza fase si praticano manovre di stretcing della zona interessata dal dolore. Tale serie di manovre in genere va ripetuta più volte nel corso delle singole sedute e queste vanno poi replicate nel corso della giornata. Prentice ha utilizzato l’elettromiografia di superficie per comparare gli effetti di caldo, freddo e dello stretching nell’indurre miorilassamento, Egli ha concluso che l’applicazione di freddo combinato con stretching statico sembra essere superiore al caldo nel ridurre il dolore post-esercizio; la combinazione delle due metodiche sembra inibire l’attività del fuso neuromuscolare che sostiene lo stato di contrattura. La tecnica è efficace in presenza di patologie fibromuscolari e periarticolari ed è stata da noi studiata a confronto con la laserterapia nel trattamento della spalla nell'emiplegico per prevenire il dolore e mantenere la mobilità, in sinergia con l'esercizio terapeutico con risultati sovrapponibili tra i due mezzi fisici impiegati.
Macchine criogene.
Attualmente sono usati nel primo soccorso tutori gonfiabili con gas refrigerante. Nel postoperatorio vengono invece impiegate macchine criogene programmabili per temperatura e durata, il freddo costante viene erogato mediante pezze, disposte in tasche poste in manicotti conformati ed in grado di erogare a richiesta sia caldo che freddo. Queste macchine munite di pompa in immersione per il continuo ricircolo dell'acqua raffreddata si basano sul principio delle celle di Peltier. Più impiegate in riabilitazione sono invece macchine che erogano aria raffreddata dall’azoto liquido o da ampolle di gas refrigeranti (clorofluorometano) con tecnologie simili a quelle impiegate in frigoriferi o condizionatori. Per queste ultime sono importanti oltre alla temperatura, la durata di applicazione, la forma e le dimensioni della sede da trattare, la potenza del getto e la sua inclinazione e la distanza da mantenere con la cute. La temperatura di queste applicazioni varia, tra -20 -30°C. la durata è di alcuni minuti, la distanza del bocchettone dalla pelle per non ostacolarne il getto è di 5-10 cm. e l’angolazione sempre tra 30-50°. L’applicazione può essere in funzione della superficie da trattare a campo mobile o fisso. La durata dell’applicazione è condizionata dal bruciore da freddo, che interviene dopo 10 minuti in trattamenti a campo mobile e in pochi secondi per quelli localizzati sempre a temperature molto basse. L'applicazione con getti freddi, in analogia alle immersioni in acqua gelida, consente l’esecuzione di facili esercizi terapeutici o di mobilizzazioni in analgesia.
Criocinetica. E' una tecnica particolare tecnica che consiste nell’esporre la parte lesa ad una alternanza di basse ed alte temperature per pochi minuti ciascuna, ad esempio 2 minuti a + 4° e 2 a +38°C. Il trattamento mira ad incrementare la circolazione periferica per ridurre l’edema. Dopo tale applicazione, grazie all’analgesia ottenuta e all'aumento circolatorio periferico, si sottopone il paziente ad una serie di esercizi attivi e imposti volti a mobilizzare le articolazioni e mantenere il tonotrofismo muscolare. RICE. L’acronimo inglese sta per Rest, Ice, Compression, Elevation. Il riposo (Rest) prevede in genere anche l’elevazione (Elevation) dell’arto o di una sua parte colpita dal trauma, specie se si tratta di segmenti sottoposti al carico, per tempi variabili tra 12 e 74 ore consecutive. La compressione (Compression), utile a ridurre l’eventuale emorragia non è sempre necessaria ma se praticata, può essere mantenuta per gli stessi tempi. Per somministrazione di freddo (ice) si intende l’impiego di una fra le principali tecniche di raffreddamento della cute, con modalità diverse in rapporto alla temperatura raggiunta, alla patologia da trattare, per tempi variabili tra 1 e 48 ore con intervalli tra 1 somministrazione e l’altra di meno di un’ora.
Frequenti impieghi clinici del freddo.
1)Fase acuta: In una lesione o in una patologia in fase acuta, per effetto della vasocostrizione, l’uso del ghiaccio limita o impedisce alterazioni tessutali, quindi l’ematoma. Si riduce o si arresta l’emorragia e così la formazione dell’ematoma viene notevolmente ridotta o addirittura interrotta. La vasocostrizione dura però solo circa 15 minuti, nei traumi acuti quindi il freddo va impiegato per almeno 12 minuti a cui può far seguito un'interruzione di 10 minuti, ma la durata complessiva del trattamento con il freddo è in relazione all’entità della lesione. Durante questa fase la parte lesa va messa a riposo in posizione declive con una fasciatura compressiva, tutta la procedura può essere ripetuta più volte. Per controllare un’emartro sono mediamente necessarie 2-4 ore. Per alleviare il dolore, ridurre il rischio di ematomi e combattere limitazioni articolari, si consiglia, di ripetere più volte possibile le applicazioni fredde nei due giorni successivi al trauma. Dopo il secondo giorno il trattamento va effettuato prima di esercizi terapeutici attivi o assistiti.
2) Fasi della riabilitazione: Come si è detto, trattamenti con il freddo già effettuati in fase acuta, vengono proseguiti anche in quella estensiva prima e dopo esercizi attivi o passivi potenzialmente in grado di indurre microtraumatismi reattivi. Gli scopi sono sempre quelli di elevare la soglia del dolore, evitare edemi, idrartri o ematomi reattivi alla rottura di aderenze o lacinie fibrose. Al contrario che nella fase acuta in quella riabilitativa, alla vasocostrizione segue una intensa vasodilatazione che genera forti iperemie reattive. L’aumento dei processi di riassorbimento affretta la guarigione, limitando la formazione di aderenze a carico delle parti molli. In particolare, occorre realizzare ripetute e brevi applicazioni fredde in preparazione, associazione e dopo esercizi terapeutici, specie dopo lunghe immobilizzazioni. Anche in questo caso delimitata la zona, viene trattata con impacchi ghiacciati e/o massaggi criogeni.
Indicazioni del freddo in fisiatria.
Attualmente in anestesiologia il freddo è impiegato per ritardare le funzioni biologiche durante interventi molto lunghi e difficili. In chirurgia sotto forma di criobisturi, o come antisettico, in fisiatria viene usata su gran parte del corpo, nel preparare un'articolazione alla mobilizzazione o subito dopo per prevenirne reazioni flogistiche. In preparazione ad una seduta di cinesiterapia, si possono applicare impacchi freddi o massaggiare con il ghiaccio le parti in trattamento per accrescerne gli effetti su dolore, spasmo ed edema, ed ottenere così un più rapido recupero della escursione articolare, a patto di ripetere la procedura anche più volte nel corso della seduta o della giornata. In caso di patologie subacute, recidivanti e croniche come periartriti, entesiti, borsiti, tenosinoviti, la terapia con il freddo è indicata se localizzata in superficie e con predominante componente algica e flogistica. Benché diverse forme di terapia fisica appaiano tutte parimenti efficaci, occorre effettuare una valutazione critica con test di laboratorio per meglio comprendere quali di queste metodiche sono utilizzabili con successo nella pratica clinica. L’efficacia terapeutica della crioterapia non è stata ancora sufficientemente documentata, in letteratura si riscontrano solo pochi studi nei quali sia stato raccolto un numero di dati sufficiente per sostenere l’uso estensivo del freddo nella terapia e nella riabilitazione di alcune condizioni patologiche. I risultati ottenuti dai diversi Autori sono difficilmente confrontabili poiché, nei lavori pubblicati, raramente vengono utilizzati gli stessi metodi ed i medesimi tempi di esposizione al freddo. Infatti i più sono stati condotti in singolo confronto e solo pochi comparando gli effetti della crioterapia verso termoterapia endogena od esogena.
Crioterapia nelle patologie dell'apparato locomotore.
Molti Autori sostengono l’efficacia del trattamento nel dolore acuto e cronico del sistema muscolare e scheletrico. Nell’esperienza di Meani la crioterapia è risulta efficace e quasi del tutto priva di complicazioni in 810 pazienti, 274 dei quali affetti da postumi dolorosi traumatici degli arti, 181 da patologie dei tendini (tenoperiostosi, tendiniti, entesiti), 85 da periartriti scapolo-omerali e 157 da altre patologie degenerative e/o flogistiche dell’apparato muscoloscheletrico (osteocondrosi, borsiti, fasciti, talalgie). Modugno in 21 pazienti affetti da epicondilite omerale ha osservato che l’applicazione di freddo per 1 ora 2 volte al giorno per 20 giorni consecutivi ha ottenuto una completa risoluzione dei sintomi nel 67% dei casi, una riduzione del dolore e della limitazione funzionale nel 14% dei casi ed un risultato scarso o nullo nel 14% dei gomiti trattati. Ciompi utilizzando una macchina criogena con azoto liquido, ha valutato in uno studio aperto, l’efficacia della crioterapia a gas freddo nel trattamento di 104 pazienti affetti da sindromi flogistiche acute extra-articolari (sindrome del tunnel carpale, periartrite scapolo-omerale, epicondilite, tendiniti della zampa d’oca, e dell'Achilleo). Ogni paziente è stato sottoposto a sedute quotidiane della durata di 3 minuti su ciascuna delle zone interessate per un totale di 10 applicazioni. In condizioni basali, al 5° ed al 10° giorno di trattamento sono stati valutati il dolore soggettivo, mediante scala analogico visiva di Scott Huskinson, ed il dolore a riposo, alla pressione, al movimento e notturno secondo una scala semi quantitativa di 4 punti. L'Autore riferisce miglioramenti statisticamente significativi in tutti i parametri considerati nel 70,1% dei pazienti trattati. La tendinite della zampa d’oca e dell’Achilleo sono le patologie in cui sono stati osservati i risultati migliori. L'autore segnala che i pazienti diabetici ammessi allo studio hanno ottenuto minori effetti rispetto alla restante casistica. Sambroski ha confrontato, in uno studio cross-over controllato, l’efficacia a breve termine della crioterapia in camera fredda verso la termoterapia esogena, nel trattamento della sindrome fibromialgica primaria. In condizioni basali, dopo 2 ore e dopo 24 ore dal termine della terapia, la sintomatologia algica soggettiva è stata valutata con una scala analogica visiva e con un algometro a punta con il quale sono stati testati 18 tender points (pain score). L'autore riferisce, sia alla seconda che alla ventiquattresima ora dal termine della seduta di crioterapia, una riduzione significativa di tutti i parametri valutati. Al contrario, dopo la termoterapia esogena, è stato osservato solo una modesta riduzione del pain score alla seconda ora. In quasi tutti gli studi analizzati la valutazione dei risultati ottenuti è soprattutto basata sull’evidenza clinica, in molti, infatti, non è stato applicato il disegno sperimentale con casi di controllo mentre negli studi comparativi la metodologia seguita è spesso poco rigorosa (omogeneità dei gruppi, cecità, ecc.). I risultati riportati da diversi Autori, non sono sempre concordanti, al contrario unanime, è il giudizio sull’efficacia di diverse forme di crioterapia nel ridurre dolore, edema e nell’accelerare i tempi del recupero dopo interventi di chirurgia ortopedica.
Crioterapia in neurologia.
La riduzione della spasticità è l'obiettivo più ricercato nella terapia con il freddo nel trattamento di pazienti affetti da patologie neurologiche, quali sclerosi multipla, paralisi cerebrali ed emiplegia. Sebbene sia l’applicazione di caldo il trattamento di scelta, alcuni studi hanno suggerito l’utilizzo della crioterapia nel trattamento della spasticità. I pazienti affetti da sclerosi multipla spesso tollerano poco il caldo e frequentemente riferiscono una grande debolezza alla fine dei trattamenti per cui la crioterapia sembra essere un più valido mezzo complementare negli esercizi terapeutici. Basset e Lake riferiscono che nel 70% di un vasto gruppo di pazienti affetti da sclerosi multipla è stata ottenuta una momentanea diminuzione della spasticità, in seguito ad applicazioni di panni freddi intorno agli arti per 10’, o immersioni delle gambe in acqua a 10° C per 10’ o ad immersioni di tutto il corpo in acqua a 26,6°C per 20’. In uno studio cross-over controllato, Kelly ha valutato l’efficacia della crioterapia in 12 bambini affetti da diversi gradi di spasticità e di contrattura muscolare in seguito a disfunzioni del SNC. Nel gruppo di bambini trattati, il programma di esercizi era preceduto dall’applicazione di panni freddi agli arti per 8 minuti. La valutazione dei risultati è stata effettuata in condizioni basali, alla fine del I° ciclo di trattamento durato 4 mesi ed alla fine del 2° ciclo di altri 4 mesi, in cui i 2 gruppi venivano incrociati. L’analisi dei dati, sebbene la casistica fosse troppo limitata per permettere una valutazione statistica attendibile, evidenzia il raggiungimento di migliori risultati quando i bambini erano trattati con crioterapia ed esercizi terapeutici. Viel ha usato l’immersione in acqua fredda nel trattamento di pazienti spastici, osservando che in 7 con ipertono dei muscoli flessori la crioterapia sembrava rinforzare la contrazione muscolare degli estensori del polso e delle dita e dei muscoli flessori dorsali del piede diminuendo la spasticità nei gruppi muscolari flessori. Rood ha utilizzato il freddo come stimolo sensoriale facilitante nell’ambito di un programma rieducativo di pazienti affetti da paralisi cerebrali ed emiplegia. In molti altri studi viene riferita una riduzione della spasticità utilizzando, oltre ai tradizionali programmi riabilitativi diverse forme di crioterapia. In due di questi è stato riscontrato un iniziale incremento della spasticità subito dopo l’applicazione del freddo. Price, applicando impacchi freddi per 20 minuti al polpaccio di 25 pazienti con evidenza clinica di spasticità agli arti inferiori ha notato, in 23 di essi, una sua significativa riduzione durante la crioterapia. Tale riduzione, rispetto a valori basali, non era più statisticamente significativa un’ora dopo la rimozione del freddo. In due pazienti si è accentuata la spasticità durante l’applicazione e un’ora dopo la rimozione del freddo. L'autore ipotizza che la metodica utilizzata non determini un’ipotermia uniforme a livello della massa muscolare; la riduzione della spasticità nelle zone muscolari sufficientemente raffreddate verrebbe pertanto annullata dall’aumento della contrazione muscolare, indotta dalla stimolazione tattile, in quelle aree del muscolo in cui non viene raggiunta una sufficiente riduzione della temperatura. Alcuni AA riferiscono una riduzione della resistenza passiva allo stiramento e/o un incremento dell’articolarità. Golouchenko riferisce un miglioramento della sintomatologia soggettiva nel 75% di 142 pazienti affetti da nevralgia del trigemino dopo 4 sedute di crioterapia effettuate con impacchi freddi a livello di zone trigger.
Crioterapia in reumatologia.
Le modificazioni del dolore in seguito ad esposizioni al freddo nei pazienti artritici non sono univoche: sebbene molti di essi riferiscano una parziale remissione dei dolori articolari nei mesi invernali ed una riacutizzazione in quelli primaverili ed estivi la crioterapia spesso non viene tollerata e ad essa viene preferita l’applicazione di sostanze od oggetti caldi. D’altra parte Holbrok ha notato che l’incidenza di malattie reumatiche è considerevolmente minore nei Lapponi e negli Eschimesi che in popolazioni che vivono in un clima temperato ed Harris e McCroskery ritengono che gli enzimi litici, responsabili di danni anatomici a carico delle articolazioni reumatizzate, siano meno attivi a basse temperature. Fino ad oggi non è stato possibile valutare gli effetti dei diversi parametri climatici, e fra di essi della temperatura, sulle condizioni dei pazienti artritici, sia da un punto di vista sintomatologico che anatomo funzionale, per la molteplicità dei fattori soggettivi ed oggettivi coinvolti. Per questi motivi la scelta della crioterapia invece di una forma di termoterapia come mezzo di supporto nel programma di esercizi terapeutici nei pazienti affetti da AR è spesso basato sulle preferenze soggettive del paziente e non sulla convinzione di medici e terapisti circa l’efficacia del trattamento utilizzato. Rembe in uno studio controllato, ha analizzato l’efficacia della crioterapia nel ridurre la tumefazione e l’edema dopo interventi chirurgici sulla mano reumatica. La casistica comprendeva 30 pazienti, 15 dei quali trattati e 15 no. Il volume della mano di ogni paziente è stato misurato 24, 48, 72, 96 ore e 2 settimane dopo l’intervento. La crioterapia veniva praticata immergendo la mano operata, protetta da un involucro di plastica, in acqua a 10°C per 4 minuti 2 volte al giorno a partire da 48 ore dopo l’intervento. L’edema è risultato minore nei pazienti trattati 96 ore dopo l’intervento, rispetto ai controlli ma la differenza non è stata significativa. Al contrario il dolore soggettivo è significativamente diminuito nei pazienti che hanno ricevuto la crioterapia. Nel lavoro di Kangilaski la crioterapia si è dimostrata utile nel migliorare l’articolarità del ginocchio, nel ridurre il dolore e nel migliorare la qualità del sonno in pazienti affetti da artrite reumatoide, Secondo Jonderko sono contrastanti i risultati della crioterapia a gas freddo applicata ai pazienti affetti da AR, in uno studio controllato su 30 di questi, ha comparato l’efficacia della crioterapia a gas freddo associata alla cinesiterapia ed alla terapia con FANS rispetto alla cinesiterapia ed alla terapia farmacologica. Sono stati effettuati due cicli di trattamento di 21 giorni ciascuno. Al termine del I° ciclo si invertivano i trattamenti con modalità cross-over. In condizioni basali, al momento del cross-over ed al termine dello studio sono state valutate articolarità, dolore soggettivo, gli indici di flogosi, la concentrazione ematica di idrossiprolina, idrossilisina e glicosaminoglicani oltre alla eliminazione urinaria di tali sostanze. I pazienti trattati con crioterapia in associazione agli antinfiammatori ed alla cinesiterapia hanno riferito, dopo 21 giorni, una riduzione maggiore del dolore soggettivo (in media inferiore del 20% rispetto ai controlli). Risulta migliore anche la funzionalità articolare nei pazienti sottoposti a crioterapia mentre non si sono evidenziate modificazioni significative, con entrambi i trattamenti, negli indici di flogosi e nelle concentrazioni ematiche ed urinarie di idrossiprolina, idrossilisina e glicosamminoglicani. Gli Autori concludono che la crioterapia a gas freddo ha un moderato effetto analgesico e che la sua efficacia antiflogistica è poco importante.
Uso del freddo per via locale e generale a scopo preventivo e curativo nello sport.
In tempi recenti grazie alla disponibilità di mezzi criogeni chimici si è diffuso l’impiego del freddo nei traumi da sport, come coadiuvante dei trattamenti di ginnastica medica attiva. Il trattamento sovente attuato con gel freddi applicati sulla pelle o con getti di aria fredda, va ripetuto anche più volte al dì per cicli di circa un mese in associazione con altre terapie fisiche e farmacologiche, sia per via generale che locale. Queste ultime pratiche fanno spesso parte integrante insieme ai bendaggi funzionali, dei rituali adottati da molti sportivi che ne fanno uso sia prima che dopo le gare, anche dopo anni da un trauma. Il suo impiego irrinunciabile nel primo soccorso di traumi sportivi deriva dal fatto che sono più spesso coinvolti muscoli, fasce e legamenti, in queste patologie, tra l'altro, raramente è controindicata. Bisogna distinguere la semplice applicazione di freddo come primo soccorso, dal suo successivo e sistematico impiego prima e dopo sedute di allenamento o gara. Le forme che più spesso necessitano di tale trattamento sono: contusioni e distorsioni di arti e articolazioni periferiche, teno-artro-sinoviti, periartriti e borsiti sia acute che croniche. Il freddo può essere applicato sotto forma di ghiaccio variamente conformato, di borsa, impacco, o bendaggio o immersione, utilizzando mezzi naturali come neve, ghiaccio tritato e acqua ghiacciata, oppure impiegando agenti chimici o fisici artificialmente prodotti. Tra i chimici ricordo l’alcol, largamente usato in passato privo di effetti negativi ma dagli scarsi poteri terapeutici; al contrario il cloruro di etile, l'azoto liquido ed il clorofluorometano sono più efficaci ma potenzialmente tossici ed inquinanti. Nello sport le articolazioni metatarso e metacarpofalangee sono spesso soggette a piccole lacerazioni della capsula, particolarmente a rischio sono i portieri nel calcio e nella pallamano ma anche chi pratica la pallavolo e la ginnastica a corpo libero. Un trattamento con il freddo in fase acuta non dovrebbe durare meno di 60 minuti anche nei casi più lievi e in linea di massima, con le dovute pause, si può protrarre sino a 2 giorni. In questa fase sono più consigliati impacchi o immersioni che manovre di massaggio, a meno che non prevalga lo spasmo muscolare come è di frequente riscontro nella patologia vertebrale. Anche in questo caso il massaggio viene eseguito con movimenti circolari anche sopra e tra le suddette articolazioni. Il criomassaggio viene praticato sull'articolazione del gomito nei lanciatori di giavellotto o nei tennisti; negli scattisti, nei mezzofondisti e nei ginnasti invece viene effettuato a livello del tendine di Achille e degli ischiocrurali. Il ghiaccio è usato per prevenire e curare crampi muscolari e limitare l'affaticamento e le contratture. Inoltre il freddo si è dimostrato valido nella prevenzione e nel trattamento di lesioni da sport sia da solo che in associazione con altre terapie fisiche. W.C. Mac Master comparando sperimentalmente con una sonda termica ad ago intramuscolare, numerose metodiche su citate, afferma che il ghiaccio tritato è il più efficace, naturale ed economico e conferma l'equivalenza refrigerante di gas e impacchi con sostanze chimiche. Le modalità d’uso, spesso ancora troppo empiriche, variano secondo la patologia, la temperatura da raggiungere, il mezzo impiegato e l’esperienza dei singoli operatori, pur essendo oramai opinione comune che è più utile mantenere il raffreddamento per tempi protratti piuttosto che raggiungere temperature molto basse. Meerof considerando che le lesioni muscolari acute sono le più frequenti e che più si giovano del trattamento possiamo distinguerle in quattro gradi di intensità crescente: nel primo poche fibre sono strappate e non vi è emorragia, nel secondo vi è un discreto numero di fibre strappate con emorragia e impotenza funzionale; nel terzo stadio il danno muscolare è evidente anche macroscopicamente e si ha completa incapacità funzionale con copiosa emorragia; il quarto è di interesse chirurgico. Il primo grado va trattato con crioterapia e cauto stretching per venti minuti e può riprendere la funzione non appena vinto il dolore. Il secondo necessita di crioterapia e riposo per ventiquattro ore e spesso si giova di bendaggi compressivi. Nel terzo sono indicati oltre alla crioterapia e il riposo anche analgesici, antiedemigeni e in alcuni casi anche l'osservazione clinica in ambiente ospedaliero. Anche le distorsioni articolari con sovradistensione legamentosa sono classificabili in acute e croniche e suddivisibili in tre stadi di gravità; nel primo è sufficiente crioterapia per non più di un’ora, bendaggi funzionali dinamici che consentono movimento solo nei gradi di escursione articolare desiderati e può essere concesso il carico e la deambulazione. Il secondo necessita di crioterapia da imporsi con intervalli non superiori a mezz’ora tra le applicazioni, per un periodo di circa 12-24 ore con elevazione, eventuale bendaggio compressivo e riposo dell’arto per 24 ore; in tali casi si consentono solo contrazioni isometriche. Nel terzo stadio va bloccato il legamento in posizione di accorciamento per tempi di almeno 12 ore, elevazione e riposo prolungato in considerazione dell’interesse chirurgico di molte di queste forme. In presenza di atleti che manifestino in seguito a sforzo massimale lievi forme di edemi periferici o idrartri, specie nei periodi di recupero dopo un trauma, sono utili applicazioni di freddo prima e dopo la gara.
Effetti collaterali.
Sebbene in seguito all’applicazione di freddo, si verifichino raramente quelli importanti, esistono numerose condizioni nelle quali la crioterapia va impiegata con cautela. Juhlin e Shelley hanno individuato tre possibili meccanismi eziopatogenetici alla base delle reazioni da ipersensibilità al freddo: 1)liberazione di istamina e sostanze istaminosimili; 2) presenza di agglutinine ed emolisine (a frigore). 3) presenza di crioglobuline. La liberazione locale di istamina e chinine è la causa dell’ipersensibilità di tipo allergico al freddo (allergia da freddo). In questi casi anche una breve esposizione alle basse temperature può provocare l’improvvisa comparsa di chiazze di angioedema e di manifestazioni orticarioidi limitate alla zona raffreddata. Tuttavia, in alcuni soggetti, la perfrigerazione di una superficie corporea anche assai limitata può determinare l’insorgenza di orticaria generalizzata (orticaria riflessa) e talora di un interessamento delle mucose delle vie respiratorie e digestive. In soggetti ipersensibili il raffreddamento di tutto il corpo può scatenare una risposta generale di tipo anafilattico. La presenza di emolisine e/o di agglutinine a frigore è responsabile di alcune sindromi che riconoscono nella esposizione al freddo il fattore scatenante quali ad esempio l’anemia emolitica da autoanticorpi e la emoglobinuria parossistica a frigore.Nei pazienti affetti da crioglobulinemia (essenziale o secondaria) per effetto del freddo si verifica la precipitazione intravasale delle proteine (quasi sempre una immunoglobulina di tipo IGM o IGG) con aumento della viscosità plasmatica e conseguente stasi o ischemia. Nella crioglobulinemia, oltre al fenomeno di Raynaud, si possono verificare altre manifestazioni cutanee (acrocianosi, porpore emorragiche) e manifestazioni viscerali in particolare a carico del rene e del sistema nervoso. Fenomeni di ipersensibilità al freddo indotti dalla presenza di crioglobuline o di agglutinine a frigore sono particolarmente frequenti in pazienti affetti da connettiviti sistemiche, quali il lupus eritematoso sistemico, la sclerodermia, l’artrite reumatoide, la connettivite mista. Una condotta terapeutica particolarmente prudente deve essere seguita nel trattamento di pazienti affetti da malattie vascolari periferiche poiché la perfrigerazione, soprattutto a livello delle estremità distali, può determinare un eccessivo incremento del tono vasale fino alla chiusura completa del lume arteriolare per spasmo. Se vengono seguiti i criteri standard della crioterapia, rispettando le modalità ed i tempi di applicazione delle diverse sostanze utilizzate le lesioni da congelamento si osservano molto raramente. Particolare attenzione va posta nell’uso di gas quali il cloruro di etile poiché il rapido raffreddamento può indurre lesioni ai tessuti. Paresi da freddo dei nervi sono possibili specie se l’applicazione della sostanza perfrigerante avviene in vicinanza del decorso dei nervi più superficiali.
Rischi potenziali.
Tra i potenziali rischi nell’uso di tali pratiche sono da considerare le ustioni criogene, generate dal protratto uso del cloruro d'etile nello stesso punto e senza rispettare la giusta distanza ed inclinazione del getto. Ulcere cutanee ed edemi reattivi, sono osservati per l’impiego di macchine refrigeranti praticate troppo vicino e troppo a lungo in sedi periferiche e in pazienti già affetti da linfoflebostasi o perché praticata su organi con circolazione a rischio come l'aia cardiaca nell'anginoso o delicate come occhio o il piede nel vecchio diabetico, o nell'arterosclerotico. Come già ricordato, bisogna tuttavia ribadire la possibilità che un soggetto ipersensibile al freddo sviluppi, anche in seguito al raffreddamento di una piccola area corporea, gravi reazioni sistemiche o locali solo applicando una busta di piselli o fagioli surgelati.
Controindicazioni.
Si possono distinguere in assolute e relative, tra le prime ricordo le connettiviti più gravi, con ipersensibilità al freddo e rischio di reazioni sistemiche e locali di tipo vasculitico, emoglobinuria, parossistica a frigore, intolleranza al freddo, vasculiti, crioglobulinemie, vasospasmi periferici Raynaudsimili, nei gravi scompensi respiratori, e cardiocircolatori, nelle psicosi fobiche con paura del freddo. Tra le relative, grave ipertensione arteriosa, (PAS>160 mm Hg, PAD>110 mm Hg) aging, disturbi del ritmo cardiaco, feocromocitoma, coronaropatie, cardiopatie in fase di scompenso e nelle insufficienze respiratorie e renali, nelle arteriopatie periferiche e nelle neuroangiopatie, in emopatie, orticaria da freddo, disturbi della sensibilità cutanea e dello stato di coscienza, come nei tossicodipendenti, negli alcolisti, come anche nelle forme instabili di epilessia. Le controindicazioni nella crioterapia dipendono, almeno in parte, dalla metodica utilizzata, dal tempo di applicazione e dalla estensione della superficie corporea trattata. Risulta infatti facilmente comprensibile come la crioterapia del corpo intero mediante bagno ghiacciato o camera climatica avrà delle ripercussioni generali assai differenti da quelle indotte dalla perfrigerazione di una zona corporea di limitata estensione. Occorre sottolineare che controindicazioni al trattamento crioterapico di superfici corporee estese, come l’ipertensione arteriosa con valori di pressione sistolica superiori a 160 mm Hg e diastolica superiori a 110 mm Hg, le aritmie gravi e le cardiopatie in fase di scompenso non precludono la possibilità di trattamenti brevi e ben localizzati.
Risultati.
In base ai risultati riportati negli studi clinici esaminati si possono fare alcune considerazioni sull’efficacia della crioterapia nel trattamento di diverse condizioni patologiche acute e croniche del sistema muscoloscheletrico. Il razionale primario della crioterapia nella fase acuta postraumatica è da ricercare nella vasocostrizione e nell’effetto analgesico; seguendo dei protocolli standard per l’applicazione di impacchi ghiacciati è stato possibile ottenere una riduzione del sanguinamento e della tumefazione dell’area lesa. Successivamente la crioterapia. integrata nelle varie fasi del programma riabilitativo, può essere molto utile poiché, induce analgesia, consente una precoce mobilizzazione delle strutture traumatizzate previene l’instaurarsi di limitazioni funzionali e la formazione di aderenze. Si ritiene che l’aumento della vascolarizzazione acceleri la rimozione dei cataboliti cellulari nell’area lesa ed incrementi l’apporto di sostanze nutritizie utilizzate per la riparazione dei tessuti danneggiati e per la cicatrizzazione. Tale obiettivo può essere raggiunto facendo precedere il raffreddamento all’esercizio fisico o allo stretching (criocinetica) oppure alternando brevi periodi di esposizione rispettivamente al freddo ed al caldo. Da tutti gli Autori è stato riscontrato un effetto positivo della crioterapia nel ridurre lo spasmo muscolare conseguente a condizioni dolorose mioarticolari acute o croniche e nel determinare un transitorio miglioramento della spasticità indotta da lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Tuttavia gli studi controllati volti ad evidenziare l’efficacia della crioterapia verso altre forme di terapia fisica, ed in particolare verso la termoterapia, nel trattamento dei diversi disordini muscolo-scheletrici sono relativamente pochi. Spesso il numero dei soggetti trattati è troppo basso per permettere analisi statistiche dei dati; i risultati ottenuti di diversi Autori sono peraltro difficilmente confrontabili poiché in molti lavori non vengono descritte in dettaglio le tecniche utilizzate, i tempi di applicazione ed i metodi di valutazione. Per quanto riguarda l’utilizzo del freddo nell’AR non esistono dati conclusivi. Dagli studi esaminati sono emerse alcune indicazioni circa l’efficacia della crioterapia nel ridurre il dolore articolare e la rigidità e nell’incrementare la motilità delle articolazioni trattate ma tutti sottolineano la necessità di effettuare altri studi controllati su un vasto numero di pazienti per ottenere dei dati obiettivi e statisticamente significativi. In ultima analisi non è ancora possibile considerare la crioterapia come una forma di trattamento di per se valido, in alcune condizioni morbose, questa terapia fisica, è utile nel facilitare esercizi terapeutici e interventi riabilitativi più ampi la cui efficacia sarà tanto maggiore quanto più si adatterà alle caratteristiche ed alla risposta soggettiva del paziente a cui è rivolto. Concludendo nell'uso terapeutico del freddo specie in traumatologia vi è ancora notevole empirismo dovuto più alle esperienze sul campo che a controllati e ripetibili studi clinici. Non solo ma tra gli atleti che la impiegano prima e dopo le loro prestazioni, anche tra questi vi è un’ampia difformità nelle tecniche nelle modalità e nei tempi d’impiego, come se a ciascuno di loro fosse necessaria una diversa dose a seconda del proprio fisico e a seconda della propria prestazione sportiva. Questa situazione è la conseguenza dell'impreparazione del personale addetto al primo intervento, a scarsi studi controllati su tali terapie, alla scarsa diffusione dei mezzi di somministrazione, alle difficoltà nella standardizzazione delle tecniche di raffreddamento (è più facile riscaldare che raffreddare un corpo) e nella monitorizzazione delle temperature raggiunte, anche solo a livello cutaneo. Alla luce dell'esperienza condotta e dopo ampia disamina delle altre riportate in letteratura, è possibile individuare alcune principali variabili nell’effettuare la crioterapia il tipo, il metodo, e il tempo di durata nell’applicazione dei mezzi criogeni, la latenza nel loro uso a partire dal momento dell’infortunio, la sede di applicazione con le sue variabili (vascolarizzazione e spessore del pannicolo adiposo), la diversa compliance dei pazienti alla terapia. L’esperienza con il termofotopletismografo consente di affermare che dal punto di vista fisiopatologico i risultati sono simili con temperature dell’acqua oscillanti tra 0 e 6° C. Riguardo mezzi criogeni si può osservare che il freddo asciutto è più tollerato dell’umido, che vi sono delle macchine più utili nel trattamento postoperatorio ed altre più utili in riabilitazione tra le prime ricordo i Polar Care tra le seconde le macchine ad aria surgelata o ad azoto liquido. In linea di massima non è indispensabile che si raggiungano temperature molto al disotto dello zero, bensì è utile che le macchine siano adattabili alle diverse sedi anatomiche e siano applicati per un tempo sufficiente. Riteniamo che in un prossimo futuro si avrà un ulteriore progresso tecnico e maggiori e più precise indicazioni di impiego di questo mezzo fisico spesso alternativo all’abuso di farmaci.

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Aggiunto il: 01 aprile 2004
Autore/Fonte: Appunti delle lezioni di Medicina Fisica Riabilitativa elaborati da M. Lollobrigida
Email dell'autore/sito: n/a
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